Fonte : Forum Amici Obesi
Ogni epoca ha le sue nevrosi che necessitano di psicoterapie mirate ed adeguate, cambiando le forme patologiche e e le cause cambia anche il tipo di intervento terapeutico. All’inizio del ‘900 la nevrosi per eccellenza era l’isteria, la psicoanalisi nasce proprio per cercare di curare adeguatamente questa forma nevrotica.
Freud stabilì che i sintomi dell’isteria avevano un loro significato inconscio non percepito dal malato, l’obbiettivo della psicoanalisi fu quello di decifrare i sintomi isterici, le cause dell’isteria quindi risalivano a contenuti ed esperienze rimosse e represse nell’inconscio, la terapia consisteva nel riportare alla coscienza del malato tali esperienze e contenuti.
Oggi l’isteria non è più così frequente e diffusa, ma al suo posto si sono aggiunte una serie di nuove nevrosi e nuovi disagi psicologici che vanno di pari passo con l’evoluzione del mondo moderno:
la depressione
lo stress
le fobie
l’ansia patologica
colpiscono migliaia di persone in tutto il mondo, sono in aumento poi le insicurezze personali e le crisi di identità.
Negli ultimi 20 anni si è evidenziata una forma molto grave di nevrosi: I disturbi alimentari psicogeni (DAP).
Grazie alla comunicazione di massa termini come anoressia e bulimia sono divenuti di uso comune, anche se ben pochi sanno effettivamente di cosa si tratta e di quanto seria sia la situaizone attuale, perfino molti medici e psicologi hannos olo una vaga conoscenza di queste patologie.
Si ha un disturbo dell’alimentazione quando sono presenti comportamenti ossessivi finalizzati al controllo del peso corporeo e comportamenti ossessivi in relazione al cibo, tali comportamenti danneggiano significativamente la salute fisica e il funzionamento psicologico della persona, non sono subordinati a nessuna condizione medica ne psichiatrica conosciuta.
I disturbi dell’alimentazione sono quindi un grave problema di salute fisica ma che compendono l’intera sfera emotiva del paziente, compaiono di norma nel periodo adolescenziale e interessano soprattutto le femmine, ma possono colpire chiunque.
I disturbi alimentari psicogeni sono classificati in:
anressia nervosa
bulimia nervosa
disturbi dell’alimentazione atipici
Nella sfera dei disturbi dell’alimentazioni atipici trovano posto:
binge eaters desorder (BED)
night eaters syndrome (NES)
sweet eaters (mangiatori di dolci, la scelta alimentare di questi persone è notevolmente orientata verso gli alimenti dolci)
nibbling (spiluccatori, difficilmente fanno un pasto completo, mangiano poco ma continuamente, non avvertono mai il senso di sazietà ma non sopportano il senso di ripienezza, mangiano seguendo le onde emotive della giornata, ma anche solo per noia, non sanno resistere alla visione del cibo, devono per forza assaggiare)
exercising (il soggetto colpito da questo disturbo, ha un’alimentazione anche equilibrata ma ha una vera e propria ossessione di bruciare le calorie ingerite, ricorre quindi ad una intensa attività sportiva, frequenta la palestra quotidianamente, fa movimento anche in casa, non ama star fermo, il suo obbiettivo è mantenere il suo peso ideale che solitamente è abbastanza al di sotto i parametri. La cultura della figura tonica e sportiva ossessiva nasconde una sorta di anoressia mascherata)
Non è infrequente che un paziente abbia più di un comportamento alimentare disturbato.
Tutti i disturbi dell’alimentazione sono di un ceppo comune e si muovono sulla stessa asse.
Nel tempo si sono stabiliti alcuni punti per identificare i disturbi dell’alimentazione e poter fare una diagnosi precisa:
Anoressia nervosa:
manenimento di un peso molto basso, con BMI inferiore o uguale a 17
amenorrea sia nelle donne già mestruate o non comparsa del primo ciclo mestruale nelle ragazze
valutazione di se stessi esclusivamente in relazione al peso corporeo, al cibo e al loro controllo
Bulimia nervosa:
abbuffate frequenti, anche 3 o 4 alla settimana (l’abbuffata è un momento di perdita del controllo e di asunzione di grandi quantità di cibo)
controllo ossessivo del peso per controllare i danni delle abbuffate e compensazione (vomito indotto, abuso di lassativi e diuretici, dieta ferrea anche periodi di digiuno)
valutazione di se stessi esclusivamente in relazione al peso corporeo, al cibo e al loro controllo
mancato inquadramento nei criteri dell’anoressia nervosa
Disturbi dell’alimentazione atipici:
disturbi che non trovano collocazione e inquadramento delle definizioni di anoressia nervosa e bulimia nervosa
Ma quali sono le cause che portano ad un disturbo dell’alimentazione?
Le ricerche indicano che alla base c’è una predisposizione genitica suggerita dall’osservazione sui gemelli, i disturbi dell’alimentazione sono prevalenti nei gemelli monozigoti rispetto ai gemelli dizigoti, l’indicazione genetica è suffragata poi da alcuni studi preliminari di geneticamolecolare.
La relazione e le caratteristiche comuni ed intrinseche tra disturbi dell’elaimentazione e obesità sono sempre più evidenti e supportate dagli studi clinici.
Molto importante il ruolo dei fattori di rischio che portano all’evidenziare il disturbo dell’alimentazione, fattori emotivi, fattori ambietali e fattori culturali, tra cui:
depressione
alcolismo
abuso sessuale
scarso contatto con i genitori
alte aspettative dei genitori e delle figure importanti nella crescita dell’individuo
dispute genitoriali nelle separazioni
diete in famiglia
perfezionismo proprio o indotto
idealizzazione della magrezza come valore assoluto
ansia
Il rapporto con la famiglia riveste un ruolo molto significativo, molti fattori di rischio sono strettamente correlati al rapporto tra il malato e la propria famiglia, spesso però anche i messaggi dei media, della televisione ecc… possono essere fattori di rischio;
la presentazione costante di modelli ideali di forme corporee sottili e perfette può portate di fatto a convincimenti errati per cui accade di ritenere che il proprio valore sia giudicato in base a come si appare e al proprio aspetto fisico, su questo stesso filo di pensiero accade che le persone in sovrappeso od obese vengano viste in modo negativo a prescindere da tutto il resto.
APPROFONDIMENTI TRATTI DAL SITO DELL’AIDAP:
DISTURBO DA ALIMENTAZIONE INCONTROLLATA (BED)
Significativi problemi di abbuffate, cioè assunzione di un’elevata quantità di cibo associata a un senso di perdita di controllo sull’atto del mangiare, affliggono circa il 20-30% dei soggetti che si rivolgono a degli specialisti per perdere peso. Alcuni di questi individui soffrono di un disturbo dell’alimentazione chiamato dagli anglosassoni “binge eating disorder” (BED) e tradotto in italiano con il termine “disturbo da alimentazione incontrollata”.
L’esatta prevalenza di questo disturbo tra i soggetti obesi non è del tutto nota. I primi studi, che usavano questionari autosomministrati, riportavano una prevalenza tra i pazienti che richiedono un trattamento per l’obesità del 20-30%. Studi più recenti, che hanno usato interviste semistrutturate e una metodologica diagnostica più accurata, hanno trovato, nella popolazione clinica degli obesi, una prevalenza molto più bassa del disturbo (circa il 3%). Per quanto riguarda la prevalenza del BED nella popolazione non clinica gli studi effettuati evidenziano una prevalenza variabile dallo 0,6% al 3%. Il disturbo colpisce più le donne che gli uomini (il rapporto è di 3 a 2) e, a differenza della bulimia nervosa, i bianchi e gli afroamericani in eguale misura. L’insorgenza del comportamento alimentare incontrollato avviene di solito nella tarda adolescenza o all’inizio della terza decade.
che cos’è
La definizione del disturbo da alimentazione incontrollata è recente, e tuttora esistono numerose controversie sulla specificità e l’utilità di inserire una nuova categoria diagnostica nell’ambito dei disturbi dell’alimentazione. Malgrado ciò, questo disturbo è la logica estensione del concetto originale di “binge eating” proposto da Stunkard (1959) e di numerosi studi eseguiti negli anni ’80 che hanno dimostrato l’utilità della valutazione delle abbuffate nell’inquadramento clinico del paziente obeso.
BED e comportamento alimentare
Il comportamento caratteristico dei soggetti con BED si distingue per la presenza di episodi ricorrenti di abbuffate. Con questo termine si indica una condizione definita da due precise caratteristiche, entrambe necessarie: (1) mangiare in un periodo di tempo circoscritto (per esempio nell’arco di due ore) una quantità di cibo indiscutibilmente maggiore di quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso periodo di tempo e in circostanze simili; (2). sensazione di perdere il controllo nell’atto di mangiare (ad esempio sentire di non potere smettere di mangiare o di non potere controllare cosa o quanto mangiare).
La diagnosi di BED che le abbuffate si verifichino almeno “due giorni la settimana”; tale definizione differisce da quella adottata nella bulimia nervosa dove invece è richiesto un numero minimo di due episodi di abbuffate la settimana. Alcuni studi eseguiti in soggetti con BED, infatti, hanno dimostrato che le loro abbuffate non sono limitate ad un certo periodo di tempo, ma che spesso continuano nell’arco di un’intera giornata.
La maggior parte delle ricerche effettuate ha evidenziato che le pazienti con BED hanno un’incapacità generale di regolare la loro alimentazione sia durante che al di fuori delle abbuffate. Studi effettuati in laboratorio, inoltre, hanno confermato che i soggetti con BED mangiano di più durante i pasti, rispetto ai soggetti pareggiati per peso che non compiono abbuffate. Sembra, infine, che la durata dei pasti dei soggetti obesi con BED sia significativamente maggiore di quella degli obesi senza questo.
In sintesi i soggetti con BED, rispetto ai soggetti in sovrappeso od obesi senza questo disturbo, mostrano un’alimentazione caotica con un elevato introito di cibo sia ai pasti che fuori pasto.
BED e comportamenti di compenso
Nei soggetti con BED, anche se può essere occasionalmente riscontrata qualche comportamento di compenso (per esempio vomito auto-indotto, uso di lassativi e/o diuretici, digiuno o eccessivo esercizio fisico), essi, a differenza della bulimia nervosa, non sono utilizzati sistematicamente per controbilanciare le conseguenze delle abbuffate.
BED e obesità
La maggior parte dei soggetti con BED è sovrappeso od obeso ed esiste una forte associazione tra disturbo e obesità. Ciò implica che a differenza della bulimia nervosa, in cui le pazienti sono generalmente normopeso, i soggetti con BED si rivolgono a centri specializzati per la cura dell’obesità e non dei disturbi dell’alimentazione.
Il BED è associato a insorgenza precoce di obesità, a frequenti episodi di fluttuazione di peso, a numerosi episodi di dieta e a un’elevata familiarità per l’obesità. Per quanto riguarda il peso, la prevalenza di questo disturbo aumenta con l’aumentare del BMI: a un BMI compreso tra 25 e 28 il disturbo è presente nel 10% dei casi, a un BMI tra 28 e 31 nel 15% e tra 31 e 42 nel 40%.
Psicopatologia specifica del BED
Numerosi studi hanno evidenziato la presenza di significative differenze tra soggetti obesi affetti e non affetti da BED nella capacità di controllare la loro alimentazione e in altri aspetti della psicopatologia specifica dei disturbi dell’alimentazione, come ad esempio la preoccupazione per il peso, le forme corporee e il cibo.
Nella psicopatologia specifica dei disturbi dell’alimentazione esistono numerose somiglianze anche tra i soggetti con BED e quelli con bulimia nervosa, ma differenza di quest’ultima, nel BED non sono presenti elevati livelli di restrizione alimentare. Nonostante gli standard dietetici elevati, i soggetti colpiti da questo disturbo non riescono a limitare il loro introito calorico.
Un’altra differenza tra pazienti con BED e con bulimia nervosa consiste nel fatto che i primi non attribuiscono un’eccessiva importanza alla magrezza nella valutazione di se stessi. La maggior parte dei pazienti con questo disturbo, infatti, tende ad accettare un peso normale o leggermente al di sopra della norma, ma riporta notevole insoddisfazione e disprezzo nei confronti del proprio corpo.
Relazione tra BED e restrizione alimentare
Mentre nella bulimia nervosa, nella maggior parte dei casi le abbuffate sono precedute e seguite da comportamenti dietetici restrittivi, nel BED non si assiste a una riduzione dell’introito calorico al di fuori delle abbuffate. Infatti, se confrontati con obesi senza questo disturbo, quelli con BED mangiano di più a pasto e fuori pasto e presentano livelli inferiori di restrizione alimentare (valutati con dei test specifici). Questo dato va riconciliato al fatto che i soggetti con BED presentano una storia clinica caratterizzata da un elevato numero di diete. La spiegazione più logica suggerisce che in questo disturbo possono alternarsi periodi di dieta e lunghi periodi in cui le abbuffate non sono associate a nessun tipo di restrizione alimentare. Le fasi di dieta potrebbero rappresentare il tentativo di recuperare il controllo sull’alimentazione e sul peso, controllo completamente perduto durante i periodi caratterizzati dalla presenza di abbuffate.
La relazione tra restrizione alimentare e abbuffate ha un’importanza concettuale e teoretica. Nella bulimia nervosa la dieta è fortemente implicata nello sviluppo delle abbuffate; infatti, in questo disturbo, la restrizione alimentare precede quasi sempre la comparsa di abbuffate. Nel BED invece, sembra che più della metà dei soggetti abbia abbuffate prima di avere iniziato a restringere l’alimentazione. Inoltre, alcuni studi hanno documentato che nelle pazienti con BED la restrizione calorica e la perdita di peso non sembrano esacerbare le abbuffate e anzi, si è visto che con i programmi di perdita di peso questi individui in molti casi riducono le abbuffate e migliorano il tono dell’umore.
Perché la dieta riduce il numero di abbuffate nei pazienti con BED e le aumenta in quelli con bulimia nervosa? Sebbene per rispondere a questa domanda sia necessario effettuare degli accurati studi longitudinali, sembra che il BED possa essere concettualizzato come una “sindrome di discontrollo” generale nei confronti dell’alimentazione con associata una psicopatologia specifica dei disturbi dell’alimentazione in individui che sono vulnerabili all’obesità e/o alla depressione. Nella bulimia nervosa, invece, le abbuffate sembrano essere la diretta conseguenza della dieta ferrea, che a sua volta è secondaria alla preoccupazione eccessiva per il peso e le forme corporee, psicopatologia specifica e centrale di questo disturbo.
BED e depressione
Numerosi studi, hanno evidenziato che rispetto ai pazienti obesi senza BED quelli obesi con questo disturbo presentano una maggiore sofferenza psicologica e comorbidità psichiatrica, in particolare per la depressione. Questi soggetti presentano anche una prevalenza lifetime più elevata di altri problemi psichiatrici tra i quali disturbi d’ansia, d’umore e di personalità.
In un recente studio è stato osservato che gli individui obesi con BED hanno una storia di depressione maggiore 12,9 volte più frequente rispetto a quelli senza questo disturbo. Secondo vari clinici, nelle persone obese con BED esiste una stretta associazione tra peggioramento del tono dell’umore e aumento delle abbuffate; a tale proposito alcuni resoconti avevano già in passato sottolineato il fatto che pazienti obesi coinvolti in un programma dietetico tendono ad aumentare di peso quando vanno incontro a un episodio di depressione maggiore. Infine non va sottovalutato che sia l’obesità sia le abbuffate possono contribuire allo sviluppo della sintomatologia depressiva. L’obesità nei paesi occidentali è fortemente stigmatizzata e per molti soggetti obesi affrontare giornalmente tale pregiudizio può favorire lo sviluppo di depressione. Il senso di perdita di controllo che si accompagna per definizione alle abbuffate è inoltre estremamente egodistonico e può causare o esacerbare la sintomatologia depressiva.
BED e vergogna
I soggetti in sovrappeso od obesi (in particolare le donne) sono ripetutamente sottoposti alla discriminazione e allo scherno degli altri perché, nonostante sia stata dimostrata la componente genetica dell’obesità, è opinione diffusa, anche tra i medici, che le persone diventano obese soprattutto perché sono golose o perché hanno scarsa forza di volontà. La maggior parte delle pazienti con BED è consapevole che la determinazione della taglia corporea non è solo una questione di disciplina personale, ma il fatto che la loro alimentazione sia irregolare ed eccessiva facilita l’incorporazione della visione moralistica enfatizzante il ruolo della scarsa disciplina come determinante principale dell’alimentazione eccessiva e dello sviluppo dell’obesità. Ciò spiega il perché quasi tutti i soggetti con questo disturbo abbiano vergogna del loro comportamento e della loro obesità e attribuiscano a se stessi la causa dei loro problemi di alimentazione e di peso.
Un recente lavoro ha documentato l’esistenza di una stretta associazione tra depressione e vergogna per il proprio corpo; tale fatto suggerisce che quest’ultima può giocare un ruolo centrale nella relazione complessa tra depressione e abbuffate.
COME CAPIRE SE SI E’ AFFETTI DA BED
Capire se si affetti da BED non è semplice. Molte persone obese pensano di essere bulimiche, ma in realtà non lo sono; per pronunciare una diagnosi di BED devono essere presenti tutte e cinque le seguenti caratteristiche
Episodi ricorrenti di alimentazione incontrollata. Un episodio di alimentazione incontrollata si caratterizza per la presenza di entrambi i seguenti elementi:
mangiare, in un periodo definito di tempo (per es., entro un periodo di 2 ore), un quantitativo di cibo chiaramente più abbondante di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe in un periodo simile di tempo e in circostanze simili
sensazione di perdita del controllo nel mangiare durante l’episodio (per es., la sensazione di non riuscire a fermarsi, oppure a controllare che cosa e quanto si sta mangiando)
Gli episodi di alimentazione incontrollata sono associati con tre (o più) dei seguenti sintomi:
mangiare molto più rapidamente del normale
mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni
mangiare grandi quantitativi di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati
mangiare da soli a causa dell’imbarazzo per quanto si sta mangiando
sentirsi disgustato verso sé stesso, depresso, o molto in colpa dopo le abbuffate
Presente marcato disagio a riguardo del mangiare incontrollato
Il comportamento alimentare incontrollato si manifesta, mediamente, almeno per 2 giorni alla settimana in un periodo di 6 mesi
L’alimentazione incontrollata non risulta associata con l’utilizzazione sistematica di comportamenti compensatori inappropriati (per es., uso di purganti, digiuno, eccessivo esercizio fisico), e non si verifica esclusivamente in corso di Anoressia Nervosa o di Bulimia Nervosa.
QUAL E’ LA TERAPIA PIU’ EFFICACE
Il trattamento più efficace per il BED, sembra essere la Terapia Cognitivo Comportamentale (CBT). La CBT per questo disturbo applicata nei trial randomizzati di ricerca è stata messa a punto alla fine degli anni Ottanta presso l’Università di Pittsburgh ed è basata sul modello di Fairburn per la bulimia nervosa. Alcune differenze rispetto ai pazienti con bulimia nervosa hanno però determinato la necessità di adattare la CBT per soddisfare le necessità specifiche dei pazienti con BED.
La durata del trattamento è più lunga (22 sedute in 24 settimane), ma la struttura è identica (tre fasi finalizzate ad erodere i principali fattori cognitivi e comportamentali di mantenimento del disturbo, terapia individuale, ecc.). La più lunga durata del trattamento sembra essere necessaria per favorire la normalizzazione del comportamento alimentare molto disturbato di questi pazienti e massimizzare il numero dei potenziali responder al trattamento.
La CBT è in grado di determinare una diminuzione delle abbuffate in più dei due terzi dei pazienti e l’astinenza in più della metà dei casi, mentre non determina alcuna modificazione di peso. Purtroppo i risultati brillanti riportati dai trial controllati che hanno studiato l’efficacia della CBT sono a breve termine, e poco sappiamo se sono mantenuti nel tempo.
Se la CBT fallisce possono essere indicate altre forme di trattamento. Purtroppo oggi non abbiamo dati scientifici che ci permettano di suggerire il trattamento di scelta alle pazienti che non rispondono alla terapia cognitivo comportamentale. Tuttavia, l’esperienza clinica suggerisce che si possono provare le seguenti opzioni: terapia interpersonale, considerando che il disturbo dell’alimentazione insorge nell’adolescenza spesso in un contesto di difficoltà interpersonali e maturative, inoltre la depressione, l’ansia e la rabbia sono emozioni implicate nel peggioramento del comportamento bulimico e spesso possono derivare da conflitti interpersonali; terapia farmacologica con antidepressivi che possono aumentare la restrizione dietetica favorendo la sazietà e il miglioramento della compliance di un programma di perdita di peso; trattamento dell’obesità con le metodiche della terapia comportamentale.
Alcune ricerche recenti hanno evidenziato che un buon numero di soggetti con BED può rispondere a forme più semplici di trattamento, come ad esempio l’auto-aiuto guidato con i libri. Il prof Fairburn ha recentemente completato uno studio in cui, utilizzando il libro “Come vincere le abbuffate (Positive Press, 1995) ha confrontato l’auto-aiuto guidato (9 incontri di 20 minuti con un terapeuta) con l’auto-aiuto puro e con l’assenza di trattamento (lista d’attesa). Entrambe le forme di terapia sono risultate efficaci: alla fine del trattamento, il 43% dei soggetti che avevano seguito l’auto-aiuto e il 50% di quelli che avevano svolto l’intervento di auto-aiuto guidato avevano smesso di abbuffarsi e questo tipo di risultati è stato mantenuto anche al follow-up svolto sei mesi dopo. Al contrario, solo l’8% dei soggetti in lista d’attesa ha sospeso le abbuffate. La riduzione media di queste ultime, ottenuta nei vari approcci, ha raggiunto il 74% con l’auto-aiuto guidato, il 49% con l’auto-aiuto puro e il 29% in assenza di terapia.
Un altro libro che può essere utile per le persone obese con BED è quello recentemente scritto da Dalle Grave: “Perdere peso senza perdere la testa: il peso ragionevole in 7 passi” (Positive Press: 1999). Il libro è un manuale indicato per le persone obese con BED, perché tratta in modo specifico i loro due problemi principali: obesità e abbuffate. Nel manuale, oltre a informazioni sull’obesità e sul BED e sulle tecniche cognitivo comportamentali per gestire questi problemi, sono riportati consigli per regolarizzare l’alimentazione, per ridurre l’importanza attribuita al peso e alle forme corporee e per accettare un peso che molto spesso è superiore a quello ideale. L’AIDAP ha sponsorizzato uno studio multicentrico, controllato e randomizzato, che è attualmente in corso, per valutare l’efficacia dell’utilizzo di questo manuale.
NIGHT EATING SYNDROME:
UN DISTURBO DELL’ALIMENTAZIONE DISTINTO
a cura della Dott.ssa Arianna Banderali
La Night Eating Syndrome (NES) sembra essere un disturbo con caratteristiche distinte dall’anoressia nervosa, dalla bulimia nervosa e dal disturbo da alimentazione incontrollata. Tale conclusione è giunta dopo la pubblicazione di alcune ricerche recentemente eseguite in Norvegia e negli Stati Uniti (Birketvedt et al., 1999).
La NES si caratterizza da anoressia mattutina, iperfagia serale ed insonnia; sembra essere legata allo stress e colpisce circa il 2% della popolazione generale (Rand et al., 1997), il 9% dei pazienti obesi e il 27% dei pazienti severamente obesi (Stunkard et al., 1959). La tabella 1 riporta i criteri diagnostici provvisori del NES suggeriti da Birketvedt et al. (1999).
Tre studi recentemente pubblicati, che hanno esaminato nei soggetti con NES il comportamento, le modificazioni neuroendocrine presenti e la loro capacità di perdere peso corporeo, hanno definito in modo migliore questa misteriosa condizione.
Studio comportamentale
Lo studio comportamentale, condotto presso l’università di Pensilvania, ha misurato l’ora e la quantità dell’introito calorico giornaliero, il tono dell’umore e i disturbi del sonno (Birketvedt et al., 1999).
10 soggetti obesi (8 donne e 2 uomini) che soddisfacevano i criteri diagnostici della NES e 10 soggetti di controllo sono stati osservati in un setting ambulatoriale. Quattro soggetti con bulimia nervosa sono stati aggiunti al protocollo come gruppo di confronto. A tutti i soggetti sono stati misurati l’assunzione di cibo nelle 24 ore per una settimana.
L’introito calorico totale giornaliero differiva solo moderatamene tra i soggetti affetti da NES e i controlli. I soggetti con NES, però, riportavano nelle 24 ore 9,3 episodi di alimentazione, rispetto ai 4,2 dei soggetti di controllo e ai 6,2 dei soggetti con bulimia nervosa. Inoltre, le modalità di assunzione di cibo differivano in modo significativo tra i due gruppi. Durante il giorno, l’energia assunta dai soggetti con NES era inferiore rispetto ai soggetti controllo: alle 18 il gruppo con NES aveva consumato solo il 37% del loro introito giornaliero totale, mentre i soggetti di controllo assumevano il 74% del loro introito giornaliero totale. Mentre nei soggetti di controllo l’assunzione di cibo rallentava marcatamente verso le 20, i soggetti con NES non diminuivano la loro alimentazione fino alle 24. Dalle 18 alle 24 quelli affetti da NES assumevano il 56% del loro introito energetico giornaliero totale, mentre il gruppo di controllo nelle stesse ore consumava solo il 15%
Durante le 24 ore il tono dell’umore medio dei soggetti con NES era più basso del gruppo di controllo. Dopo le 16 il tono dell’umore del gruppo con NES diminuiva ora dopo ora, mentre quello dei controlli non si modificava. I soggetti con NES mostravano anche un maggior numero di risvegli notturni rispetto ai controlli (3,6 versus 0,3 rispettivamente) e più della metà di questi risvegli era associato all’assunzione di cibo. I soggetti con NA, infine, durante questi episodi mangiavano per lo più carboidrati (73% dell’energia) e il rapporto carboidrati/proteine nei loro spuntini notturni era 7 a 1.
Studio neuroendocrino
Lo studio neuroendocrino è stato condotto in un periodo di 24 ore mentre i soggetti erano ricoverati presso l”University Hospital, Tromsö, in Norvegia (Birketvedt et al., 1999). I ricercatori hanno misurato i livelli circadiani plasmatici di melatonina, leptina e cortisolo. Lo studio ha incluso 12 soggetti affetti da NES e 21 soggetti di controllo. I ricercatori hanno inoltre diviso i 12 soggetti con NES in 7 non obesi (BMI medio 23,1) e 5 obesi (BMI medio 36).
Lo studio, come quello comportamentale, ha evidenziato che i soggetti con NES avevano un numero significativamente superiore di risvegli notturni rispetto ai controlli (3,1 versus 0,1). Tutti i soggetti con NES, obesi e non obesi, avevano, rispetto ai controlli, livelli più bassi di melatonina plasmatica durantre la notte (dalle 22 di sera alle 6 di mattina). I livelli plasmatici di melatonina erano più elevati nei soggetti obesi di controllo, rispetto ai soggetti normopeso di controllo, ma le concetrazioni erano simili nei soggetti obesi e non obesi affetti da NES. I livelli plasmatici di leptina erano più elevati nei soggetti obesi rispetto ai soggetti normopeso sia nei controlli sia in quelli affetti da NES. In confronto ai loro rispettivi gruppi di controllo, l’aumento dei livelli notturni di leptina era più basso sia nei NES normopeso sia in quelli obesi. I livelli plasmatici di cortisolo non erano significativamente diversi tra i soggetti obesi e normopeso di controllo. Dalle 8 alle 14 i livelli plasma
tici di cortisolo erano più elevati nei soggetti con NES, rispetto ai controlli. La glicemia pre e post-prandiale non differiva significativamentte tra i soggetti con NES e i controlli sia nel groppo di obesi sia in quello dei normopeso.
Studio sulla perdita di peso corporeo
Gluck et al. (2001) hanno valutato la relazione tra NES, depressione, meal test (ingestione da un contenitore opaco di un pasto liquido fino a che non ci si sente pieni) e perdita di peso in 76 soggetti obesi. Il 14% dei soggetti era affetto da NES e mostrava, rispetto ai NON-NES più elevati livelli di depressione, bassa autostima, meno fame e una tendenza a sentirsi più pieni durante il meal test eseguito durante il giorno. Non sono invece emerse differenze nella quantità di cibo assunta durante il meal test, mentre i NES assumevano maggiori calorie in un meal test eseguito la sera. Dopo un mese i soggetti con NES avevano perso meno peso rispetto ai NON-NES (44 +/- 3,2 kg vs (7,3 +/- 3,2 kg; p = 0,04).
Conclusioni
Gli spuntini serali/notturni ricchi di carboidrati (70,3% delle calorie totali assunte) ed in modo particolare l’elevato rapporto carboidrati/proteine suggeriscono che l’alimentazione notturna è finalizzata a ristorare il sonno disturbato dei soggetti affetti da NES. La NES sembra, inoltre, differenziarsi dal cosiddetto “disturbo dell’alimentazione relato al sonno notturno” riportato dalle cliniche del sonno e caratterizzato dal mangiare al momento del risveglio notturno, spesso dovuto al sonnambulismo e a disturbi del sonno associati. In questi soggetti, infatti, non è presente la tipica anoressia mattutina evidenziabile nei NES (Ceru-Bjork et al., 2001). I soggetti obesi con NES hanno, inoltre, più elevati livelli di depressione, bassa autostima e una minore perdita di peso ripetto ai soggetti obesi senza questo disturbo. Tutto ciò sembra indicare che il NES è un nuovo disturbo, ma se questo è vero, come può essere curato? La presenza di un disturbo del sonno, legato all’attenuazione dell’incremento
notturno della melatonina plasmatica suggerisce che la somministrazione di melatonina esogena potrebbe aiutare questi pazienti. Dal momento che l’ingestione di carboidrati durante gli episodi di alimentazione notturna sembra essere un tentativo di migliorare il sonno ed il tono dell’umore aumentando i livelli di serotonina, potrebbe essere razionale usare gli inibitori selettivi del re-uptake della serotonia. Infine, anche gli antagonisti del recettore del CRH (corticotropin-realising hormone) potrebbero essere potenzialmente efficaci, se aggiunti alla psicoterapia. È chiaro che tutte queste speculazioni necessitano di essere testate in studi clinici controllati prima che si possa fare una raccomandazione clinica accurata.
CRITERI DIAGNOSTICI
1. Anoressia mattutina anche se il soggetto consuma la prima colazione
2. Iperfagia serale, in cui è consumato il 50% o più dell’introito energetico giornaliero dopo l’ultimo pasto serale
3. Almeno un risveglio per notte
4. Consumo di snack durante i risvegli
5. Ripetizione dei criteri provvisori per tre o più mesi
6. I soggetti non soddisfano i criteri per la bulimia nervosa o il disturbo da alimentazione incontrollata
da Birketvedt et al. (1999)
IL PERFEZIONISMO NEI DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE
Dr.ssa Federica Bignotti
Psicologa
Casa di Cura Villa Garda – Garda (Verona)
Introduzione
L’articolo si propone di passare in rassegna alcuni degli studi condotti finora su una caratteristica considerata un importante fattore di rischio per lo sviluppo dei disturbi dell’alimentazione e che sembra essere resistente al cambiamento: il perfezionismo. Prima di trattare il perfezionismo specificamente all’interno dei disturbi dell’alimentazione, è sembrato interessante affrontare brevemente gli aspetti di questo costrutto e dei più recenti strumenti ideati per indagarlo; sarebbe, infatti, d’auspicio che la ricerca approfondisse meglio, con tutti gli strumenti disponibili, il ruolo che il perfezionismo ha all’interno di un disturbo così sfaccettato quale è il disturbo dell’alimentazione. Verrà in seguito dato rilievo a due aspetti del perfezionismo, personali e sociali, e alle ricerche che hanno attribuito più importanza agli uni o agli altri; poi saranno prese in considerazione le relazioni tra il perfezionismo e altre caratteristiche salienti per la comprensione del disturbo dell’alimentazione: autostima, insoddisfazione corporea, sintomi ossessivo-compulsivi, iperattività; infine riporteremo alcuni consigli per l’intervento.
Definizione di perfezionismo
Con il termine “perfezionismo” si fa in genere riferimento all’abitudine a domandare a sé stessi o agli altri una performance di qualità maggiore, rispetto a quella richiesta dalla situazione. Ciò è accompagnato dalla tendenza ad una valutazione critica del proprio comportamento (Bastiano et al., 1994; Frost et al., 1990). Le caratteristiche perfezionistiche secondo Hewitt e Flett (1991) sono elencate nella tabella 1.
Tabella 1. Caratteristiche perfezionistiche
1) Atandards irrealistici e sforzi per raggiungere questi standards
2) Attenzione selettiva agli errori
3) Interpretazione degli errori come indicatori di fallimento e credenza che, a causa di essi, verrà persa la stima degli altri
4) Autovalutazioni severe e tendenza ad incorrere in un pensiero tutto o nulla, dove i risultati possono essere solo un totale successo o un totale fallimento
5) Dubbio sulla capacità di portare a conclusione un compito in modo corretto
6) Tendenza a credere che gli altri significativi abbiano aspettative elevate
7) Timore delle critiche.
Hewitt, P. L. e Flett, G. L. (1991). Perfectionism in the self and social context: conceptualization, assessment, and association with psychopathology, Journal of Personality and Social Psychology , 60, 456-470.
Strumenti di valutazione del perfezionismo
Le ultime ricerche condotte sul costrutto del perfezionismo, data la sua complessità, propendono verso una visione multidimensionale. Gli studiosi che più di recente si sono occupati del perfezionismo sono Frost da una parte e Hewitt e Flett dall’altra. Questi ricercatori hanno costruito due strumenti per indagarlo: 1) la Multidimensional Perfectionism Scale (MPS; Frost et al.; 1990) e l’omonima Multidimensional Perfectionism Scale (MPS; Hewitt et al., 1991).
L’inventario di Frost e collaboratori è costituito dalle sei scale seguenti:
1) Excessive Concern Over Mistakes ; misura le reazioni negative agli errori, lo sbaglio è considerato un insuccesso, in seguito al fallimento gli altri perderanno la stima nei confronti del soggetto.
2) Personal Standard ; misura la presenza di standard elevati e la loro influenza sull’autovalutazione.
3) Parental Expectations; misura la tendenza a credere che gli altri significativi abbiano elevate aspettative nei confronti del soggetto.
4) Parental Criticism ; misura la percezione che gli altri siano o siano stati eccessivamente critici nei confronti della persona.
5) Doubts About Action ; misura la presenza del dubbio sulla propria capacità di portare a termine il compito in modo perfetto.
6) Organization ; misura l’importanza attribuita all’ordine ed all’organizzazione.
L’inventario di Hewitt e Flett (1991) è costituito dalle tre scale seguenti:
1) Self Oriented Perfectionism ; esprime la tendenza a porsi obiettivi troppo elevati, a generalizzare i fallimenti e ad incorrere facilmente in pensieri “tutto o nulla”.
2) Other Oriented Perfectionism ; misura la tendenza ad avere aspettative troppo elevate riguardo agli altri e alle persone significative, ad essere eccessivamente critici nel valutare gli altri.
3) Socially Prescribed Perfectionism ; valuta la tendenza a credere che gli altri abbiano alte aspettative sulle prestazioni del soggetto; questo porta timore per la valutazione negativa degli altri e a credere che sia necessario raggiungere quegli standards per guadagnare l’altrui approvazione e accettazione.
Oltre alle dimensioni di tratto del perfezionismo, Hewitt e collaboratori (1995) hanno descritto aspetti sociali del perfezionismo che implicano gli stili di auto-presentazione; secondo gli autori l’auto-presentazione perfezionistica comprende tre maggiori componenti:
1) Bisogno di apparire perfetti.
2) Bisogno di evitare di apparire imperfetti.
3) Bisogno di evitare di mostrare le proprie imperfezioni.
Secondo Hewitt e collaboratori (1995), indipendentemente dalle dimensioni di tratto del perfezionismo, il forte bisogno di presentarsi perfetti, può influenzare il comportamento nei disturbi dell’alimentazione, non permettendo alla persona di mostrare i propri difetti o di ammettere delle difficoltà.
Un confronto tra i due strumenti è stato fatto da Frost ed i suoi colleghi nel 1993; l’analisi fattoriale degli item dei due strumenti ha rilevato due principali fattori: 1) preoccupazioni valutative disadattive; 2) sforzo per raggiungere risultati positivi. Le dimensioni più correlate alla patologia sembrano essere l’ Excessive Concern Over Mistake e il Socially Prescribed Perfectionism ; quest’ultima, in modo particolare è elevata in persone che soffrono di depressione ed in pazienti con disturbo borderline di personalità.
Perfezionismo “sano” e “malato”
Alcune caratteristiche del perfezionismo possono essere viste come socialmente desiderabili e appaiono essere adattive per un funzionamento psicologico sano; sforzi elevati sono spesso associati a soddisfazione personale e ad un aumentato senso di autostima. D’altra parte con perfezionismo ci si può anche riferire alla tendenza a stabilire standard elevati impossibili da raggiungere e un forte bisogno di evitare fallimenti. Burns (1993), a questo proposito, ha ritenuto importante differenziare il perfezionismo “malato” dalla “salutare ricerca di eccellere”.
Nella tabella 2 sono elencate le caratteristiche del perfezionismo “malato” e della “salutare ricerca di eccellere”
Il perfezionismo “malato” secondo Burns porta a sviluppare stress al lavoro e a scuola, a oscillazioni dell’umore, come depressione ed ansia, a solitudine e difficoltà a formare relazioni strette, ad eccessiva frustrazione, rabbia e conflitti nelle relazioni personali, a problemi nell’apprendere da critiche, fallimenti ed errori, alla procrastinazione e alla difficoltà nello sperimentarsi in compiti difficili
Terry-Short e collaboratori (1995), seguendo la teoria di Skinner (1968), differenziano il perfezionismo “sano” da quello “malato” sulla base della storia dei rinforzi che hanno portato al suo costituirsi: il perfezionismo positivo sarebbe il frutto di una storia di rinforzi positivi, mentre il perfezionismo negativo di rinforzi negativi cioè di agenti rinforzanti che consistono nel rimuovere qualcosa da una situazione. Uno stesso comportamento può essere associato a stati emotivi differenti a secondo che sia funzione di un rinforzo positivo o negativo; in seguito ad una storia di rinforzi positivi, il comportamento è percepito come frutto di una libera scelta mentre se lo stesso comportamento è messo in atto per evitare conseguenze negative, è percepito come obbligatorio.
Tabella 2. Perfezionismo “malato” e “salutare ricerca di eccellere”
Caratteristiche principali del perfezionismo malato
Paura di fallire
Insoddisfazione costante per i propri risultati
Convinzione che si deve far colpo sugli altri tramite la propria intelligenza e i risultati e che questo è l’unico modo per guadagnare la loro approvazione
Quando si sbaglia o si fallisce un obiettivo, si diventa autocritici e ci si sente un fallimento come essere umano
Si pensa di dover sempre avere il controllo sulle emozioni.
Caratteristiche principali della”salutare ricerca di eccellere”
Creatività ed entusiasmo
Gli sforzi apportano sentimenti di gioia e di soddisfazione
Non c’è la credenza che bisogna guadagnare l’amore e l’amicizia facendo colpo sulle persone ma si crede che le persone ci accettino come siamo
L’errore è visto come una possibilità di apprendimento
Non si teme che gli altri ci vedano vulnerabili.
Perfezionismo nei disturbi dell’alimentazione
Tra gli studiosi che si sono occupati di perfezionismo nei disturbi dell’alimentazione alcuni hanno dato più rilievo agli aspetti personali (Strober, 1991), sottolineando anche l’influenza della componente genetica su questo tratto di personalità (Halmi et al., 2000), altri hanno sottolineato il ruolo dei fattori sociali.
Qui di seguito sono riportati i principali studi pubblicati recentemente sul perfezionismo nei disturbi dell’alimentazione.
Studi e teorie che hanno dato più rilievo agli aspetti personali del perfezionismo
Bastiani (1994), in seguito ad uno studio preliminare eseguito su soggetti affetti da anoressia nervosa, ha trovato che la caratteristica del perfezionismo, nel suo aspetto “self oriented”, misurato tramite lo strumento di Hewitt e Flett, persiste in seguito all’aumento di peso corporeo così come l’impulso alla magrezza. Secondo la ricerca condotta da Bastiani (1994), le ragazze anoressiche, dopo un lungo ricovero, hanno disturbi che suggeriscono un’alterata attività neuronale serotoninergica.
Halmi e collaboratori (2000) hanno esaminato il ruolo del perfezionismo come tratto fenotipico nell’anoressia nervosa e la sua rilevanza tra i sottotipi clinici. Secondo gli autori, il fatto che i soggetti con anoressia nervosa registrano, nella valutazione a lungo termine del perfezionismo, punteggi elevati anche dopo il recupero del peso corporeo, fa ipotizzare la presenza di una certa ereditabilità di questi tratti temperamentali che sembrano esprimere in definitiva una vulnerabilità genotipica all’anoressia nervosa. Gli autori hanno ritenuto importante indagare la presenza di eventuali differenze tra i sottogruppi clinici (anoressia nervosa con restrizioni – ANR; anoressia nervosa con condotte di eliminazione-ANE; anoressia nervosa con abbuffate e con condotte di eliminazione – ANAE) in relazione al perfezionismo per l’eventuale ruolo che i fattori di personalità possono giocare nel mediare gli aspetti fenotipici del comportamento del disturbo. 322 donne affette da anoressia nervosa hanno partecipato ad uno studio multicentrico internazionale in cui sono state analizzate le variazioni del perfezionismo in tre diversi sottotipi clinici: anoressia nervosa con restrizioni
(ANR), con condotte di eliminazione (ANE) e con abbuffate e condotte di eliminazione (ANAE). Il campione clinico è stato confrontato con un gruppo di controllo senza alcuna storia di disturbo dell’alimentazione o di qualsiasi comportamento alimentare disturbato. Durante il primo contatto, è stato richiesto ai partecipanti iniziali e a tutte le coppie di congiunti, se esistevano altri collaterali, fino al quinto grado, affetti da un disturbo dell’alimentazione ed in caso di riscontro positivo questi sono stato contattati. Lo studio, oltre ad aver confermato una forte componente ereditaria dell’anoressia nervosa (percentuale elevata di parenti affetti dallo stesso disturbo), ha confermato che nell’anoressia nervosa sono presenti livelli più elevati di perfezionismo, rispetto al gruppo di controllo. Il gruppo di controllo sano, infatti, ha avuto un punteggio più basso rispetto a ciascuno dei gruppi con anoressia nervoosa in tutte le sottoscale del MPS, il quale è risultata significativamente correlato anche con la motivazione al cambiamento (più ossessioni meno motivazione). I soggetti con ANE hanno avuto un punteggio significativamente più elevato all’item criticismo dei genitori, rispetto ai soggetti con ANR. Inoltre sono risultati più elevati, nei tre gruppi di pazienti, anche i punteggi dell’EDI 2, nella sottoscala del perfezionismo. Questi risultati supportano la teoria che il perfezionismo è una caratteristica dominante della personalità di soggetti affetti da anoressia nervosa e che, insieme ad altri tratti fenotipici correlati alla personalità, può costituire, quantitativamente, una misura comportamentale associata ad una suscettibilità genetica per l’anoressia nervosa.
Secondo Strober (1991, cit. in art. di Hewitt e Flett, 1995), tre aspetti della personalità fortemente legati al perfezionismo formano il cuore della vulnerabilità ai disturbi dell’alimentazione:
1) Bassa ricerca della novità – il perfezionista, infatti, si cimenta in poche attività e solo in quelle in cui è sicuro di avere una performance perfetta.
2) Eccessivo evitamento del danno – il perfezionista sente la necessità di evitare di apparire imperfetto; ciò può essere letto come il voler evitare critiche negative da parte di altri.
3) Dipendenza dalle ricompense – vedi la dipendenza dall’approvazione degli altri.
Kaye e collaboratori (1991) hanno trovato che i farmaci che agiscono specificamente nell’inibire la ricaptazione della serotonina riducono il tasso di ricaduta nell’anoressia nervosa, dopo la normalizzazzione del peso corporeo in seguito ad un ricovero. Questo dato associato all’evidenza che i soggetti con anoressia nervosa presentano elevati livelli di 5-HIAA nel CSF delle pazienti in remissione prolungata (Kaye et al., 1991; 1998) ha fatto ipotizzare a Kaye e collaboratori che l’aumento dei livelli di 5-HIAA nel CSF precede l’esordio del disturbo dell’alimentazione. L’alterazione serotoninergica determinerebbe alcune caratteristiche comuni all’anoressia nervosa e alla bulimia nervosa: perfezionismo, ossessività, evitamento del danno, disforia. La dieta diminuisce i livelli di 5-HIAA nel CSF riducendo la disponibilità del suo precursore (triptofano) e quindi può essere considerata un mezzo per regolarizzare i livelli di 5-HIAA nel CSF e le emozioni negative conseguenti. Secondo Kaye sottogruppi diversi dei disturbi dell’alimentazione sarebbero legati ad altri fattori di vulnerabilità; ad esempio, autocontrollo nell’ANR (presenza elevata di disturbo ossesivo-compulsivo di personalità nei pazienti e nei loro familiari), disinibizione e perdita di controllo nella bulimia nervosa e nell’anoressia nervosa con abbuffate-condotte di eliminazione (assenza di disturbo ossesivo-compulsivo di personalità o presenza di altri fattori biologici di vulnerabilità).
Studi e teorie che hanno dato più rilievo agli aspetti sociali del perfezionismo
Hamacheck (1978) ha rilevato che l’eccessiva preoccupazione di compiere errori e la paura del giudizio negativo degli altri derivano da esperienze nell’infanzia; l’amore manifestato dai genitori è condizionato alla performance del bambino e le approvazioni sono inconsistenti; il bambino non si sente mai soddisfatto perché il suo comportamento non è mai abbastanza corretto per guadagnare l’approvazione dei genitori e attua uno sforzo continuo per ottenerla. Burns (1980) sostiene che genitori perfezionisti utilizzano il ritiro dell’affetto e la disapprovazione come punizione e che i loro bambini tendono a rispondere agli errori con ansia e paura, come se qualcosa dovesse essere evitato.
Uno studio di Frost e collaboratori (1991) ha trovato che il livello di perfezionismo e la severità riportata dalle madri è collegata al perfezionismo nelle figlie; le madri che riportano un maggior livello di perfezionismo, hanno figlie con problemi psicologici di maggiore intensità; anche le ragazze che percepiscono il padre molto severo (indipendentemente da come il padre stesso valuta la sua severità) hanno un elevato livello di perfezionismo. Sembra dunque che il perfezionismo del figlio sia associato con i rigidi standards dei genitori.
Hewitt e Flett (1995), su un campione studentesco, hanno evidenziato che il Socially Prescribed Perfectionism è collegato ai sintomi del disturbo dell’alimentazione, a sintomi di bulimia, al disturbo dell’immagine corporea e all’autostima; il Self Oriented Perfectionism sembra essere invece collegato solo a sintomi anoressici, dieta e impulso alla magrezza, e non ad altri aspetti del disturbo dell’alimentazione. Secondo questi autori, dunque, nelle persone che soffrono di disturbi dell’alimentazione sono importanti le componenti sociali nel perfezionismo: il comportamento perfezionistico in esse sembra infatti essere motivato da un forte desiderio di conformarsi ad un modello o ad un ideale di perfezione che è percepito dalle richieste degli altri. Ciò che sembra critico nel determinare questa motivazione, è la convinzione che uno deve essere approvato dagli altri raggiungendo degli standards perfezionistici.
L’importanza degli aspetti sociali del perfezionismo è sottolineata anche dal risultato che i punteggi alla Perfectionistic Self Presentation , misurata tramite la Perfectionistic Self Presentation Scale (PSPS, Hewitt, Flett e Fairlie, 1994), hanno capacità predittiva sulle misure riguardanti problemi dell’immagine corporea e l’autostima. Questo è collegato all’ipotesi che lo sforzo di apparire impeccabili sia un tentativo di compensare la bassa autostima.
Brownell (1991) ha invece posto attenzione al ruolo che la società moderna ha nel generare la ricerca del corpo perfetto; il modello estetico ideale oggi è estremamente magro e di bell’aspetto; Brownell (1991) riporta che modelle ed attrici hanno il 10-15% di grasso corporeo mentre una donna sana il 22-26%; la percentuale di grasso corporeo richiesta per raggiungere l’ideale estetico dunque è probabilmente la metà del livello normale. Le persone ricercano l’ideale non solo per benefici alla salute ma per ciò che l’ideale incarna nella nostra cultura: avere un corpo perfetto simbolizza il controllo. In una cultura che valorizza l’auto-controllo, il lavoro duro ed il rinvio della gratificazione, avere un corpo desiderabile segnala al mondo esterno la presenza di controllo: avere controllo su impulsi a mangiare, all’inattività, riflette lavoro duro e ambizione. Per Brownell (1991), ci sono due assunzioni diffuse relative al corpo ed alla forma: 1) il corpo è estremamente malleabile e, di conseguenza, con la giusta combinazione di dieta ed esercizio, ogni persona può raggiungere l’ideale. La fisiologia del corpo va però contro quest’assunzione; ricerche mostrano come variabili biologiche, in particolare quelle genetiche, influenzano la regolazione del peso e delle forme corporee. Fallire di raggiungere l’ideale porta come conseguenza l’insoddisfazione corporea. 2) Grandi ricompense attendono chi raggiunge un corpo ideale. Anche questa assunzione è errata; le ricerche hanno evidenziato come essere fisicamente attraenti porta vantaggi in alcune aree e svantaggi in altre.
Perfezionismo-insoddisfazione corporea-autostima
Bardone e collaboratori (2000) hanno indagato la relazione tra perfezionismo, insoddisfazione corporea ed autostima. L’insoddisfazione corporea è stata misurata con una semplice domanda riguardo a come le donne si sentivano: da molto sottopeso a molto in sovrappeso; il sovrappeso percepito è risultato avere una capacità predittiva dei sintomi maggiore rispetto all’effettivo soprappeso. Secondo i risultati di questo studio, le tre variabili indagate interagiscono a predire sintomi bulimici; in particolare, donne che si considerano soprappeso e che hanno alti livelli di perfezionismo e bassa autostima mostrano un maggior rischio di sintomi bulimici. Quando un individuo molto perfezionista fallisce nel raggiungimento di uno standard, probabilmente proverà emozioni e pensieri negativi riguardo al sé; essi possono essere anche inesistenti in coloro che hanno un’alta autostima ma intensi in coloro che hanno bassa autostima. Quest’ultimi possono essere motivati a fuggire da sentimenti e pensieri negativi riguardo al sé: le abbuffate possono essere una possibile via di fuga.
Perfezionismo e sintomi ossessivi nei disturbi dell’alimentazione
Un’altra caratteristica alla quale è associato il perfezionismo è l’ossessività tanto che c’è chi ritiene il disturbo dell’alimentazione sia una variante “moderna”, sviluppatasi nella cultura occidentale, del disturbo ossessivo compulsivo (DOC) (Rothenberg, 1990). La preoccupazione per il cibo riscontrata nelle anoressiche dipinge l’intrinseca natura ossessiva del disturbo dell’alimentazione; collegato all’impulso a raggiungere la magrezza, è il controllo, su peso, appetito, pensieri e ambiente. L’amenorrea nelle anoressiche può rappresentare, secondo Rothenberg, il successo nel controllo delle funzioni corporee; anche nel DOC le idee ossessive svolgono una funzione di controllo su impulsi, desideri e affetti. Il disturbo alimentare e il DOC sono accomunati inoltre da un alto livello di attività fisica e da una alterazione dell’attività serotoninergica
Altri studiosi non condividono la teoria di Rothenberg e hanno visto il disturbo dell’alimentazione e il DOC come due disturbi differenti con sintomi comuni. E’ stato infatti sottolineato l’importante ruolo dell’inedia e della perdita di peso corporeo nella genesi dei tratti ossessivi e la possibilità che essi siano un effetto secondario dello stato di deprivazione (Garfinkel e Garner, 1982). Inoltre, si è rilevato che pazienti con disturbo dell’alimentazione non giudicano i loro sintomi ossessivi (es. pensieri intrusivi sul loro corpo) come senza senso e spesso non tentano di ignorarli o sopprimerli. A riprova dell’esistenza di due disturbi diversi, c’è anche la diversa reazione all’assunzione di farmaci che agiscono sulla ricaptazione della serotonina sebbene i due disturbi siano entrambi stati messi in relazione a disfunzioni del sistema serotoninergico: nell’anoressia nervosa c’è un aumento del tono dell’umore, mentre nel DOC c’è una diminuazione dell’ansia e delle ossessioni (Bastiani e al., 1996).
Davis e collaboratori (1998) hanno ipotizzato che l’ossessività possa rappresentare un antecedente nella patogenesi di alcuni disturbi dell’alimentazione e che l’intenso esercizio fisico contribuisca ad esacerbare la sintomatologia ossessiva una volta che si è sviluppato il disturbo; la ricercatrice ed i suoi collaboratori hanno trovato che l’inedia, insieme alla presenza di un elevato esercizio fisico, è in relazione ad una maggiore sintomatologia ossessiva. Le pazienti iperattive mostrano un livello significativamente maggiore di perfezionismo, rispetto a quelle non iperattive. D’altra parte, per quanto riguarda le altre caratteristiche dell’anoressia nervosa (preoccupazione per il peso, insoddisfazione corporea, bassa autostima) non ci sono differenze fra i due gruppi.
Alcuni consigli terapeutici per affrontare il perfezionismo nei
disturbi dell’alimentazione
Purtroppo, non sono stati effettuati studi sistematici per valutare l’efficacia di specifici interventi psicoterapeutici o farmacologici sulla modificazione dei livelli di perfezionismo nei disturbi dell’alimentazione. In questo paragrafo riporto alcuni consigli, derivati dall’esperenza di alcuni clinici famosi di scuola cognitiva comportamentale che hanno affrontato il tema del perfezionimo in generale e nei disturbi dell’alimentazione.
In primo luogo è utile favorire l’acquisizione da parte del paziente di una maggiore consapevolezza dei propri tratti perfezionistici, portando all’attenzione il problema del perfezionismo e individuando gli ambiti della vita quotidiana in cui ha standard eccessivamente elevati (risultati scolastici, apparenza fisica, lavori domestici). In secondo luogo può essere utile esplorare come il perfezionismo influenzi l’opinione di sé stessi, le relazioni e le situazioni al lavoro ed a scuola. Infine, è importante provare ad focalizzare i fattori, individuali e sociali, presenti o passati, che possono aver influito sullo sviluppo e sul mantenimento di tendenze perfezionistiche, riflettendo dunque sia sul ruolo di una società che da’ molta importanza al controllo sia su come i genitori reagiscono a successi e fallimenti del figlio e sia sulla possibile componente genetica di questo tratto.
Burns (1980) suggerisce di fare un’analisi dei costi e dei benefici, cioè di individuare alcune credenze disfunzionali alla base delle tendenze perfezionistiche (es. “Io devo cercare di essere sempre perfetta”; “Le persone penseranno peggio di me se compirò un errore”) e di esse elencare in due diverse colonne i vantaggi e gli svantaggi nel mantenerle. L’autore propone inoltre un esercizio su una situazione specifica in cui, prima di tutto, si deve descrivere una situazione nella quale il perfezionismo ha costituito un problema (a causa delle connesse auto-critiche) e di questa situazione si devono individuare i pensieri automatici, il grado di convinzione in essi, le emozioni, l’intensità di esse e il tipo di distorsioni cognitive utilizzate. I pensieri automatici negativi vanno poi sostituiti con pensieri automatici positivi e va stimata la convinzione in essi e l’intensità delle emozioni associate.
Vanderlinden (2001), infine, propone alcuni esercizi comportamentali. Uno di essi potrebbe essere quello di individuare le attività che ci si sente obbligati a svolgere in modo quasi compulsivo e pianificare dei cambiamenti in cui, gradualmente, si diminuisce la quantità di tempo dedicato ad esse. Un altro esercizio è quello della “sfida al perfezionismo” che consiste nel mettere in atto comportamenti che vanno nella direzione opposta a quella abituale (es.: gettare deliberatamente i vestiti nei cassetti in modo disordinato, non rifare volutamente il letto, studiare volutamente di meno).
Conclusioni
Alti livelli di perfezionismo sono stati dimostrati nei disturbi dell’alimentazione sia da ricerche caso-controllo sia da studi prospettici che hanno evidenziato la persistenza di questo tratto in seguito alla normalizzazzione del peso corporeo. Il perfezionismo nei disturbi dell’alimentazione sembra avere un’origine multifattoriale (genetica, legata alle relazioni con i genitori e sociale) e sembra essere un importante fattore di rischio e di mantenimento dei disturbi dell’alimentazione. I meccansimi attraverso cui il perfezionimo aumenta il rischio di sviluppare i disturbi dell’alimentazione non sono noti, ma sembrano essere importanti i legami che esso assume con l’autostima, l’immagine corporea, la restrizione alimentare e la sintomatologia ossessiva. Infine, non abbiamo ancora studi che abbiano valutato se specifiche tecniche psicoterapeutiche o farmacologiche siano in grado di ridurre in modo persistente i livelli di perfezionismo nei soggetti con disturbi dell’alimentazione.
CHE COS’è L’IMMAGINE CORPOREA?
L’immagine corporea è un concetto che ha affascinato i neurologi e i comportamentisti per oltre un secolo. La definizione più quotata è forse quella proveniente da una classico di Paul Schilder del 1935, L’immagine e l’apparenza del corpo umano: “L’immagine del nostro corpo che ci formiamo nella mente, e cioè il modo in cui il nostro corpo ci appare”. Anche Schilder riconosce che le attitudini ed le emozioni – come sentiamo la nostra apparenza fisica – sono una componente essenziale della nostra esperienza corporea, che opera sia a livello della coscienza sia al di fuori della nostra consapevolezza, nel privato e nello spazio sociale.
La maggior parte delle persone limitano l’idea di immagine corporea all’apparenza fisica, alla bellezza e all’essere attraenti. Ma sicuramente c’è dell’altro. È la rappresentazione mentale di noi stessi, che non è solamente influenzata dai nostri sentimenti, ma che influenza gran parte del nostro comportamento, emozioni, pensieri ed autostima. La percezione del corpo, le emozioni e le nostre convinzioni orientano i nostri progetti, chi incontriamo, chi sposiamo, la natura delle nostre interazioni, il nostro benessere quotidiano e la tendenza ad avere disturbi di natura psicologica.
Attraverso le differenze tra caratteristiche fisiche come il peso, l’altezza, la taglia di specifiche parti del corpo, ognuno ha esperienze diverse all’interno della propria cultura. Le esperienze positive e negative con la famiglia, gli amici, il coniuge e i partners interessano l’immagine corporea. Fattori emozionali come la tendenza verso la depressione, l’ansia, un senso generale di benessere influenzano i sentimenti che riguardano il corpo. Anche i fattori culturali giocano un ruolo centrale.
Noi siamo influenzati dagli stereotipi culturali riguardanti l’ apparenza fisica e dai modelli che li rappresentano. Tutti questi fattori convergono e si combinano in modi diversi nelle diverse persone nel determinare un livello di soddisfazione o insoddisfazione corporea.
I ricercatori che si occupano di disturbi dell’alimentazione hanno suggerito che essi sono il risultato di una immagine corporea negativa, che comporta una intensa preoccupazione per l’essere grassi e l’utilizzo di comportamenti estremi per controllare il peso del corpo. Alcuni hanno suggerito che l’aumento epidemico dei disturbi dell’alimentazione sia correlato alla forte pressione esistente nei confronti delle donne verso la dieta, per conformarsi ai modelli ultra-snelli di bellezza femminile.
Apparenza fisica e immagine corporea
Negli ultimi 30 anni le donne e via via anche gli uomini, hanno sviluppato una preoccupazione rispetto al proprio corpo. Sfortunatamente però questo esame minuzioso del corpo non ha portato le persone a vedersi in modo più chiaro. Invece di mostrare una maggiore accettazione sembriamo esserci mossi in direzione contraria, fino al punto che l’insoddisfazione corporea è la norma. La magrezza è diventata il simbolo universale della felicità personale e mentre continuiamo a preferire dei modelli di bellezza magri, uno studio ha rilevato che il peso medio della popolazione americana è aumentato. Sfortunatamente il contrasto tra biologia e cultura ha penalizzato le donne che come mai, in passato, sono insoddisfatte del loro corpo e lo combattono spietatamente attraverso la dieta e l’esercizio fisico. La ricerca indica che la dieta fatta per perdere peso e la paura dell’essere grassi sono comuni tra le ragazze di nove anni e crescono drammaticamente durante l’adolescenza. All’interno della nostra cultura le donne che sono esposte ad una maggiore pressione rispetto alla dieta sono a più alto rischio di sviluppare un disturbo del comportamento alimentare, come per esempio le atlete che praticano sport che enfatizzano la magrezza quale mezzo per ottenere performance o apparenza migliori (per es. nella ginnastica, nel pattinaggio artistico, danza e lotta libera).
Una recente indagine fatta da Psychology Today, ha documentato la diffusa insoddisfazione corporea presente tra le donne e gli uomini (Garner D.M. 1997: The 1997 Body image survey result. Psychology Today, pp. 30-84, January-February, 1997). Circa 4000 persone hanno risposto (l’86% del campione era costituito da donne). Più della metà delle donne si sono dichiarate insoddisfatte del loro aspetto (55%). I punti del corpo maggiormente discriminati sono stati l’addome (71%), il peso corporeo (66%), i fianchi (60%),e il tono muscolare (58%). Gli uomini invece si mostravano insoddisfatti del loro tono muscolare, addome, dei pettorali, del loro aspetto fisico in generale e del peso.
È tuttavia importante sottolineare come l’insoddisfazione per il peso abbia significati differenti nelle donne e negli uomini, in quanto nella ricerca la maggioranza delle donne (89%) desiderava perdere peso e solo il 3% tra quelle insoddisfatte voleva aumentare di peso, mentre l’8% voleva rimanere allo stesso peso. Al contrario il 22% degli uomini insoddisfatti desiderava aumentare di peso.
Ma quanto peso vogliono perdere le donne? Il peso medio ideale per le donne che hanno risposto a questa ricerca è di 140 libbre (circa kg 64). Inoltre alla domanda “quanti anni della loro vita avrebbero scambiato per il raggiungimento del peso ideale” il 24% delle donne e il 17% degli uomini ha risposto dicendo che avrebbe sacrificato più di tre anni, mentre il 15% delle donne e l’11% degli uomini più di 5 anni. E’ sconcertante pensare che una minoranza significativa appartenente ad entrambi i sessi non creda che valga la pena vivere la propria vita senza essere magri!
Una parte piuttosto grande dei partecipanti allo studio di Psychology Today ha riportato che nell’ultimo anno erano ricorsi a comportamenti estremi e dannosi per controllare il proprio peso: 445 donne (13%) e 22 uomini (4%) si erano indotti il vomito, circa 1/3 delle donne una o più volte la settimana. Il 14% delle donne (480) e il 3% degli uomini (16) hanno riferito di aver avuto una diagnosi di disturbo dell’alimentazione, senza mai ricevere alcun trattamento. A 49 (31%) tra le donne sottopeso era stata fatta diagnosi di disturbo dell’alimentazione. Il vomito e l’abuso di lassativi sembravano essere sempre più accettati come metodi “normali” per controllare il peso. I disturbi dell’alimentazione erano oggetto di invidia, un modo per ottenere uno status di celebrità attraverso un nuovo profilo di vittima.
C’è evidenza che l’esposizione negativa ai media faccia acquistare una patina di positività ai disturbi dell’alimentazione e favorisca la diffusione del disturbo. Tutto ciò è stato messo in luce da una paziente, vista da me recentemente che sebbene non sembrasse soddisfare i criteri diagnostici di un disturbo dell’alimentazione disse, scoppiando in lacrime: “Ho cercato in tutti i modi di avere un disturbo dell’alimentazione, di essere come (riferisce il nome di una ginnasta con un rendimento elevato), “ma suppongo di non riuscire nemmeno ad ottenere questo diritto”.
Non sorprende quindi come che per aiutare una persona che soffre di disturbi dell’alilmentazione sia necessario farle sviluppare una immagine corporea positiva. Sfortunatamente questo comporta un remare contro gli stereotipi culturali, visto che è estremamente duro evitare il messaggio “magro è bello”, mentre i programmi televisivi sono dominati da persone magre e la magrezza associata a tratti di personalità positivi. Tuttavia uno degli aspetti positivi venuto fuori dallo studio della psicologia dell’apparenza è che non tutte le persone soccombono a questi stereotipi culturali. Lo sviluppo di una immagine corporea positiva è un’area interessante che intriga molto gli psicologi.
Strategie per cambiare la propria immagine corporea
Uno dei risultati più importanti ottenuti dalla ricerca di Psychology Today è stato quello di far conoscere meglio come le persone cambiano la propria immagine corporea. Sono di seguito riportati i suggerimenti.
1) Sviluppare criteri di autostima che vadano oltre l’apparenza fisica. Un modo per rendere l’apparenza meno importante è quello di sviluppare altri criteri per valutarsi.
Una donna Californiana di 51 anni ha riassunto nel seguente modo questo tipo di approccio: “Raggiungendo in altre aree, bilanciando i successi e i fallimenti, cercando il successo laddove è possibile”. Un uomo di 53 anni ha detto: “Focalizzare la mia attenzione sui successi lavorativi, la mia partecipazione agli sport e le amicizie mi ha aiutato a superare la mia immagine corporea negativa”.
2) Coltivare l’abilità di apprezzare il proprio corpo, specialmente il suo funzionamento. Una donna di mezza età ha scritto: “Più volte ho avuto voglia di scrivere un articolo dal titolo ‘io ho un bel corpo’”. “No, io non somiglio a Jane Fonda; sono una donne normale di 46 anni che ha tre bambini. Ma il mio corpo è meraviglioso per tutto quello che fa per me. Ho due occhi che mi permettono di vedere, un naso per odorare, due mani per afferrare ed abbracciare, due mammelle che hanno nutrito tre bambini, un addome che ha fatto da casa a tre bambini, due gambe e due piedi che possono portarmi ovunque. Guardatevi intorno. Siate grati per il corpo che avete”. “Io ho dei capelli rossi molto accesi e come un bambino li odio perché li vedevo così diversi” ha detto una donna Californiana di 20 anni “Recentemente ho messo a fuoco però che i miei capelli sono una parte di me bella e esotica. Adesso provo affetto nei loro confronti”. Un’altra giovane donna ha affermato: “Adesso sono più tranquilla con il mio peso perché la mia attenzione si è spostata da quello che sembro a quello che posso fare. Posso scalare questa montagna o fare un’escursione e quanto lontano posso andare?”.
3) Impegnarsi in comportamenti che possono farti sentire bene con te stesso. “Quando ho pensieri e sentimenti negativi sulla mia apparenza fisica, cerco di impegnarmi in comportamenti che mi facciano cambiare idea, come fare esercizio o comprare un vestito che valorizzi il mio aspetto”, ha affermato una donna di 30 anni del Missouri. “Sebbene sia una taglia 54, poso nuda per una università d’arte locale, faccio meditazione per concentrarmi sulla mia parte interiore, mi diverto a fare danza, nuoto, tiro all’arco, arte, progetti di scrittura” ha riferito una donna della Georgia.
4) Ridurre l’esposizione a immagini dannose provenienti dai media. “Ho smesso del tutto di comprare dai negozi alla moda quando la mia taglia è arrivata a 54” ha detto una donna di 30 anni del Michigan. “Paragonarmi alle modelle aveva un impatto fortemente negativo”. “Una delle cose che mi ha aiutata ad accettarmi di più è stato realizzare che le mie forme erano femminili”, ha riferito una donna di 67 anni dell’Ohio. “Anche se può sembrare banale guardare i vecchi film con Sophia Loren e Ava Gardner aiuta. Quelle donne avevano forme, seni e fianchi pronunciati e sono tra le donne più sensuali che io abbia mai visto”.
5) L’esercizio fisico va fatto per mantenersi in forma ed avere più vigore, non solo per perdere peso. “Quando sono stata capace di smettere di focalizzare la mia attenzione su come il mio corpo mi appariva e cominciare a pensare in che modo il mio corpo poteva aiutarmi a scalare, nuotare, andare in bicicletta, sopravvivere nelle avversità, mi sono sentita estremamente soddisfatta” ha detto una donna di 28 anni proveniente dalla Louisiana, “Mi sono concentrata per stare meglio ed ho incominciato a fare esercizio fisico, dieta, non per perder peso ma in modo salutare”. Una giovane donna di New York nella ricerca ha riferito: “Circa un anno fa ho incominciato a camminare ogni giorno per un’ora, mentre camminavo mi sentivo così bene, ho perso 10 libbre (circa kg 4,5), ma questo non importa. Le mie attitudini sono cambiate perché ho incominciato a preoccuparmi della mia salute”.
6) Trova persone che si preoccupano e rispettano il tuo corpo; insegnagli come parlare del tuo corpo e come toccarlo. “L’esperienza più recente che mi ha aiutata è stata quella amorosa” ha riferito una donna di 67 anni dell’Ohio “Lui mi ha fatto sentire felice con questo corpo avente queste forme e queste dimensioni”.
7) Non impegnarti in relazioni abusive. Una donna di 31 anni dell’Alabama ha detto: “Se il mio partner non apprezza il mio aspetto, non sarà il mio partner a lungo”, “Elimino ciò che è negativo”.
8) Identifica e cambia i pensieri negativi abituali riguardanti il vostro corpo. “Ho fatto una cassetta in cui mi dico cose positive, in cui ricordo successi personali e sensazioni che voglio raggiungere” ha detto una donna di 25 anni di Washington: “Quando ho cattive attitudini sul mio corpo metto la cassetta: mi aiuta veramente a migliorare la mia immagine”. “Quando guardo il mio corpo allo specchio cerco di dire cose carine piuttosto che umiliarmi”, aggiunge la saggia venticinquenne.
9) Decodifica i pensieri più complicati riguardanti il corpo. I pensieri e i sentimenti negativi sul corpo ti distraggono da altre questioni che ti preoccupano realmente? Una donna di 60 anni ha scritto: “un fattore che mi ha aiutato è stato riconoscere che la maggior parte dei miei problemi interpersonali derivavano dalla mia timidezza e mancanza di abilità sociali piuttosto che dalla mia apparenza”. Ho lavorato sulle mie abilità interpersonali e ho scoperto che mi preoccupavo di meno del mio aspetto fisico.
10) Se sei caduto in questo genere di problema, cerca un aiuto professionale. “Sono stata bulimica per 12 anni”, ha riferito una donna di 33 anni del Michigan. “Il mio miglioramento è dovuto a visite individuali, supporto dagli amici, e a un duro lavoro fatto.
11) Controlla quello che puoi fare e dimentica quello che non puoi fare. Una donne di 33 anni ha scritto dal Michigan: “Per allontanare i pensieri negativi sulla mia apparenza fisica ho utilizzato una regola semplice: ho lavorato su come migliorare quello che realisticamente potevo cambiare e non ho sprecato altro tempo a preoccuparmi del resto”.
La ricerca di Psychology Today e la nostra esperienza clinica ci dice che il trovarsi a proprio agio con il proprio corpo presenta dei vantaggi anche se la persona non corrisponde agli ideali culturali di bellezza. Alcune persone sono più magre altre più grasse e nonostante i 50 bilioni di dollari spesi ogni anno nell’industria della dieta, i trattamenti convenzionali per l’obesità risultano essere fallimentari.
La dieta e i trattamenti comportamentali possono avere effetto a breve termine, ma non hanno effetti durevoli e clinicamente significativi sulla perdita di peso. Non si può competere con i fattori genetici e biologici che regolano il peso corporeo. Inoltre le fluttuazioni di peso conseguenti alla restrizione alimentare possono aggravare i rischi di salute associati all’obesità e possono avere effetti collaterali gravi come le abbuffate e la depressione.
Lo studio certamente rinforza l’idea che la perdita di peso è la via preferita dalle donne per rinforzare l’autostima. Forse la linea da seguire è quella di esercitarsi il più possibile ad accettarsi come si è piuttosto che cercare di modellarsi a un ideale fisico arbitrario e poco definito, senza preoccuparsi di come largamente esso è rappresentato.
Parti di questo articolo sono state adattate dalla pubblicazione originaria: Garner D.M. (1997). The 1997 Body image survey result. Psychology Today, ( pp 30-84) Gennaio-Feb. 1997.
MASS MEDIA ED IMMAGINE CORPOREA
a cura della Dott.ssa Arianna Banderali
II contesto culturale nel quale siamo inseriti è un elemento determinante per la formazione degli ideali, delle convinzioni e delle aspettative degli adolescenti. Le fonti prime di informazione, quali riviste, televisione, radio e mezzi multimediali, sono sempre più fondate sul mondo dell’apparenza e dell’esteriorità che non sui contenuti e sui messaggi costruttivi per il senso critico dell’individuo. Numerosi studi indicano che essi giocano un ruolo importante in quel largo spettro di problemi legati all’immagine corporea negativa, al modo scorretto di alimentarsi e alle pratiche non salutari per il controllo del peso corporeo.
I protagonisti della pubblicità, le modelle che compaiono sui giornali e i personaggi dello spettacolo forniscono modelli estetici spesso irrealizzabili per la maggior parte della popolazione. La magrezza e il rigido controllo del peso vengono apertamente “glorificati” mentre la grassezza è svilita al punto da essere definita non salutare, immorale e brutta.
Gli onnipresenti messaggi riferiti all’ideale di magrezza non sono, come sarebbe opportuno, presentati come irraggiungibili e puramente frutto dell’immaginazione e gli stessi media tendono a confondere i limiti tra un ideale di fantasia e la realtà. Non viene, infatti, contemplato il lavoro che si cela dietro queste immagini uniformate all’insegna della magrezza, non si parla dell’esercizio fisico, delle restrizioni alimentari, delle operazioni di trucco e di fotomontaggio, che portano al risultato finale. I media, invece, illudono le persone che sia possibile con po’ di volontà raggiungere il “feroce” ideale di magrezza che loro impongono. In questi messaggi non si cela solo un imbroglio ma viene marcato il bisogno e la necessità di aderire a quel canone per avere successo e per essere apprezzati.
I media danno chiara priorità all’identificazione della femminilità con l’apparenza esteriore e degli altri aspetti dell’oggettificazione sessuale. Le donne in cerca di una direttiva su cosa significa essere una “vera” donna possono facilmente estrarre dai media spinte verso la magrezza; ecco alcuni esempi:
La bellezza è il principale obbiettivo nella vita di una donna.
La magrezza è cruciale per raggiungere il successo e il benessere.
L’immagine è sostanziale.
È naturale che le donne siano consapevoli del proprio corpo e che siano indissolubilmente legate ad esso.
Il “grasso” dimostra la loro personale responsabilità per essere deboli, delle fallite ed impotenti.
Una donna “volitiva” e “vincente ” può rinnovarsi e trasformarsi attraverso la moda, la dieta e l’esercizio fisico rigoroso.
Nei paesi occidentali è onnipresente la pressione sulla magrezza ed essa è oramai intimamente legata alla bellezza, bontà e virtù. Paradossale appare anche l’attuale ideale socio-culturale che promuove accanto alla magrezza modelli contrapposti come: seni voluminosi e muscoli molto pronunciati. Nella società occidentale si promette, inoltre, che è possibile raggiungere questa forma fisica in ogni caso, mentre è noto che il somatotipo di ciascun individuo è spesso diverso dagli ideali proposti. Così il conflitto tra la cultura dei mass-media e la fisiologia porta inevitabilmente sempre più donne ad essere insoddisfatte della propria immagine corporea. In passato, il modello fisico attraente coincideva con un fisico biologicamente predisposto alla maternità ma con gli anni si è osservata la preferenza per una forma corporea più angolare. Fra il 1959 e il 1978 si è notato che il rapporto peso altezza delle modelle della pagina centrale di Playboy e delle concorrenti al titolo di Miss America era diminuito mentre il peso medio della donna americana era decisamente aumentato incrementando così il margine di insoddisfazione tra peso reale e peso ideale trasmesso dai media.
Il 70% delle ragazze della scuola media superiore ritiene che le riviste di moda siano un’importante fonte d’informazione per la forma fisica e la bellezza. Alcuni studi hanno evidenziato che i messaggi contenuti nelle riviste sono un elemento importante per lo sviluppo di un’immagine corporea negativa. È stato ad esempio rilevato che la semplice osservazione per alcuni minuti di fotografie di modelle magre da parte di ragazze adolescenti produce livelli maggiori di depressione, stress, vergogna, senso di colpa, insicurezza e insoddisfazione corporea di quanto non faccia l’osservazione di modelle di taglia media.
Il modello socioculturale postula che i disturbi dell’alimentazione siano principalmente determinati da fattori nocivi presenti nell’ambiente. Tra questi la pressione sulla magrezza, favorendo lo sviluppo di un’immagine corporea negativa, sembra essere particolarmente importante. Nonostante l’importanza dell’ambiente sociale, non va comunque dimenticato che per lo sviluppo di un disturbo dell’alimentazione sembra sia fondamentale l’interiorizzazione dei modelli proposti e la predisposizione individuale. Ad ogni modo è mia ferma convinzione che se riuscissimo a scoraggiare i media ad usare modelle ed attrici che sono considerate gravemente sottopeso dalla comunità medica osserveremo una diminuzione significativa dell’insoddisfazione corporea nella popolazione e, forse, una riduzione dell’incidenza dei disturbi dell’alimentazione.
Vi invitiamo pertanto a rivolgervi alla nostra associazione AIDAP per sottoporci critiche, pareri o qualsiasi argomentazione relativa ai messaggi considerati negativi per l’immagine corporea divulgate dai mezzi di comunicazione. Nel frattempo la nostra associazione ha attivato corsi di prevenzione nelle scuole medie per informare e rendere consapevoli i giovani del rischio che accompagna il perseguire i modelli della TV e delle riviste.
Arianna Banderali