A cosa serve l’emoglobina glicata
Il test dell’emoglobina glicata descrive la qualità media del controllo glicemico raggiunta nelle 8/9 settimane precedenti all’esame e rappresenta uno strumento ideale per capire cosa accade davvero nell’organismo fra una misurazione della glicemia e l’altra.
Della glicemia si sa tutto o quasi; è un test che ‘fotografa’ la quantità di glucosio presente nel sangue nell’istante in cui il test è effettuato. A seconda della condizione e della terapia, le persone con il diabete sono invitate a misurare la glicemia una o due volte al giorno, (nei casi di insulinodipendenza si arriva a 4 o 5).
Ma cosa accade nel resto della giornata o nei giorni in cui non sono richiesti test della glicemia? Il test dell’emoglobina glicata dà proprio questa risposta, e offre un valore sulla base del quale è possibile intuire quale è stato il livello di controllo medio nelle ultime 8-9 settimane. Come è possibile?
Il segreto è un fenomeno da tempo noto: la glicazione delle proteine. Come tutti sanno il glucosio è presente nel sangue. Nel sangue ci sono diverse proteine. Una di queste, l’emoglobina, è particolarmente importante in quanto trasporta l’ossigeno dai polmoni ai tessuti. L’emoglobina si trova nei globuli rossi (che sono rossi proprio grazie all’emoglobina).
Il glucosio presente nel sangue penetra facilmente nei globuli rossi e così facendo può rimanere ‘impigliato’ dentro le catene di aminoacidi che costituiscono l’emoglobina, per la precisione l’emoglobina di tipo A (HbA).
La proteina quindi si ‘glica’ , si collega a una molecola di glucosio. Non tutti i milioni e milioni di proteine di emoglobina presenti nel sangue si glicano, ma la glicazione è tanto più probabile, quanto più è alto il tasso di glucosio nel sangue.
Quando il glucosio si ‘appiccica’
“L’emoglobina è un ottimo indicatore clinico”, spiega Paolo Cavallo Perin, Docente di Medicina Interna alla Facoltà di Medicina dell’Università di Torino, “la percentuale di emoglobina che si è glicata, è infatti proporzionale alla concentrazione di glucosio registrata nel sangue in un certo arco di tempo”.
A differenza del test della glicemia, l’emoglobina glicata dà una idea di quelli che possono essere stati i livelli medi di glicemia nelle ultime ottonove settimane.
Una volta legato all’emoglobina, infatti, il glucosio rimane ‘appiccicato’ alla proteina per tutta la vita dell’emoglobina, stimata in 120 giorni. Questo significa (per chi ama i calcoli complessi) che nel campione di sangue prelevato il 50-60% dell’emoglobina si è formato nei 30 giorni precedenti l’esame, il 30-40% tra i 30 e i 60 giorni prima, mentre solo il 10-20% dell’emoglobina ha più di 60 giorni di ‘vita’. “Sulle persone con il diabete di tipo 2 l’esame è trimestrale”, nota Cavallo Perin, che dirige il Servizio di Diabetologia del Policlinico Ospedaliero San Giovanni di Torino, più noto come Le Molinette, “mentre sulle persone insulinodipendenti l’esame viene effettuato ogni sei settimane in modo da avere una copertura ‘continua’”. Per fare un esempio vicino all’esperienza di molti, poniamo che una persona abbia deciso erroneamente di ‘dimenticarsi’ del suo diabete durante le vacanze. In tutto il mese di agosto quindi, senza badare alla dieta, svilupperà una costante iperglicemia. Tornata a casa in settembre riprenderà un buon autocontrollo e registra ottime glicemie. Alla fine del mese si reca al Centro per il consueto controllo. La glicemia sarà perfetta, ma l’emoglobina glicata no. Nel campione di sangue intero analizzato si ritroveranno infatti sia le proteine di emoglobina ‘nate’ in settembre e quindi non glicate, sia quelle ‘nate’ in agosto nelle quali è rimasto imprigionato il glucosio in eccesso presente nei ‘bagordi’ di agosto. La percentuale sarà quindi un valore medio fra quello normale (6%) e quello alto (9-10%).
“Non abbiamo strumenti per capire se un valore di emoglobina glicata medio è dovuto a un autocontrollo scadente ma continuo o all’alternanza di momenti in cui il controllo e buono e altri in cui è pessimo”, ammette Cavallo Perin, autore di molti studi di base sull’argomento negli anni ’80, “un fatto però è sicuro: singole ‘trasgressioni’ o errori sporadici nella terapia come possono accadere soprattutto agli insulinodipendenti, non bastano ad alterarla. Un risultato alto può essere spiegato solo con una lunga serie di iperglicemie o con un costante scompenso”.
Tradurre in glicemie le percentuali di ‘glicata’
“L’emoglobina glicata è un rilevatore sensibile e affidabile”, rileva Cavallo Perin, “visto che nessuna condizione patologica se si escludono rari disturbi, malattia intercorrente o concomitante e nessun evento, per quanto particolare, della vita del paziente incide significativamente sulla glicazione”.
Grandi trial come il DCCT, ma anche l’esperienza quotidiana di tutti i Centri diabetologici, confermano l’esistenza di un rapporto preciso e stabile fra la glicemia e la percentuale di emoglobina glicata. A grandi linee (ma i dati possono variare a seconda delle metodologie di analisi utilizzate) a un 6% di HbA1c corrisponde una glicemia media di 120 mg/dl; a un 8% una media di 190 mg/dl e così via in ragione.
Il team diabetologico che riscontra una emoglobina alta a fronte di glicemie buone ripassa per prima cosa con il paziente le regole dell’autocontrollo. “Più spesso si tratta di intensificare i test della glicemia coprendo momenti della giornata che prima non erano soggetti a nessun controllo”, continua il responsabile del Centro di riferimento di Diabetologia della Regione Piemonte, “il caso classico è il paziente che mostra un buon controllo a digiuno ma che sviluppa continue iperglicemie postprandiali, a volte invece l’iperglicemia si verifica durante la notte. In ogni caso l’emoglobina glicata ci permette di migliorare l’approccio terapeutico e controllare molto meglio la condizione diabetica”.