Attività fisica e sanità pubblica, ovvero come l’incentivazione della prima possa far risparmiare un bel po’ di quattrini alla seconda. In termini preventivi, quindi, per mantenere uno stato di salute ottimale ed evitare che alcune patologie si manifestino, ma anche per rallentarne la progressione e, in alcuni casi, per ottenere risultati migliori in abbinamento ad altre terapie. L’attività fisica, quindi, come elemento di prevenzione primaria. È uno degli spunti più interessanti del secondo congresso internazionale su “Physical Activity and Public Health”, che si è svolto di recente ad Amsterdam.
Scienziati e medici da tutto il mondo (e nessuno dall’Italia) si sono confrontati per tre giorni nella sede dell’università VU, sponsor tra gli altri la Coca Cola Company, presentando anche i dati su alcuni progetti di intervento in scuole, ospedali, uffici. Come incentivare comportamenti salutari, evitare il sedentarismo, facilitare la perdita di peso in quelli che sono già sovrappeso e obesi? Le risposte, date o tentate, sono infinite: sono stati provati reclutamenti singoli e in gruppo, per telefono, mail, con le webcam e, anche con contatti personali e piccoli gruppi all’interno dei luoghi di lavoro.
Ovviamente un obiettivo primario è stato quello di raggiungere i bambini con interventi coinvolgenti e gradevoli: è il caso del programma basato sulla danza offerto a un gruppetto di ragazzine tra 10 e 12 anni di diversi gruppi etnici e con un po’ di chili di troppo a Potchefstroom, in Sud Africa.
Ma non solo: in Scozia, per esempio, si sono indagate le abitudini di bambini e bambine a scuola, con uno studio durato cinque anni, il PASS, Physical Activity in Scottish Schoolchildren: a 11 anni il 42 per cento dei maschi e il 25 delle femmine dichiara di svolgere un’ora al giorno per 5 giorni a settimana un’attività fisica da moderata a vigorosa. La percentuale decresce con l’età e a 15 anni scende al 33 e al 16 per cento. Motivo? Troppi compiti, poco tempo libero, accesso difficile, tempo cattivo che non consente di stare all’aria aperta. Ma non solo: l’attività fisica aiuta anche i bambini con difficoltà cognitive e, secondo i dati di Kenneth Fox, dell’università di Bristol, riduce anche del 30 per cento il rischio di ammalarsi di alcune patologie mentali senili, come l’Alzheimer o la demenza, con effetti positivi paragonabili alla psicoterapia. Molto positivo l’effetto del movimento anche sugli attacchi di panico e i disordini psicotici.
Ed è provocatoria, ma neanche troppo, la teoria di Steven Blair (del dipartimento di Scienza ed Epidemiologia dell’università di South Carolina, USA): se sei normopeso ma non ti muovi e hai uno stile di vita sedentario corri un rischio cinque volte maggiore di sviluppare malattie croniche rispetto ad un obeso che fa attività fisica, seppure moderata.
“I benefici dell’attività fisica, che dovrebbe essere considerata una vera e propria terapia, valgono per tutti”, conclude Blair, “ben al di là di un calcolo basato solo ed esclusivamente sul peso”.